Ancora una volta, l'ennesima volta: disinformazione e propaganda sugli attacchi chimici in Siria

By Lorf | Ideolog | 27 Nov 2019


Dal 21 agosto 2013, data dell’attacco chimico (sarin) nella Ghouta che uccise più di mille persone, il discorso sull’uso di armi chimiche in Siria è divenuto oggetto di disinformazione e propaganda. Questo è il racconto dell’ultima puntata.

La storia inizia il 15 ottobre scorso con un’iniziativa di Courage, una fondazione che vorrebbe “dare supporto a chi rischia la vita o la libertà per dare un significativo contributo alla documentazione storica” e che principalmente conduce una campagna per la difesa di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks.

I membri del panel organizzato a Bruxelles da Courage, quel giorno, riferiscono la loro lettura delle rivelazioni di un whistleblower - cioè un informatore - interno alla Organizzazione per la proibizioni delle armi chimiche (OPCW d’ora in poi). Secondo la denuncia del panel, che dichiara di aver avuto esaurienti spiegazioni dall’informatore, l’OPCW ha pesantemente modificato le “informazioni sulle analisi chimiche, i consulti tossicologici, gli studi balistici e le testimonianze dirette” per favorire “conclusioni preconfezionate”.

I risultati del panel vengono diffusi da Courage il 23 ottobre e subito la notizia viene ripresa da diversi media. Repubblica, ad esempio, il cui articolo firmato Stefania Maurizi esordisce così:

Non si conosce il suo nome ancora, ma non è difficile immaginare che nelle alte sfere della diplomazia la caccia all'uomo sia già scattata. Sì, perché se i fatti che questa fonte denuncia saranno accertati al di là di ogni ragionevole dubbio, l'intero sistema di controllo messo in piedi dalla comunità internazionale contro l'uso degli armamenti chimici vacillerà, scatenando una tempesta senza precedenti all'interno dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), un'istituzione internazionale che ha vinto il Nobel per la Pace nel 2013 e che negli ultimi anni ha gestito dossier estremamente scottanti, da quello sul caso di Sergei Skripal – la spia russa che sarebbe stata avvelenata dall'agente nervino Novichock - a quello sul presunto attacco chimico a Douma, in Siria, il 7 aprile 2018 che avrebbe sterminato decine di civili. 

Ma la "caccia all'uomo" non sembra "scattare": piuttosto alcuni iniziano ad analizzare i fatti. Fra di essi c'è Brian Whitaker, un giornalista - autore del libro-inchiesta Arabi senza dio - che si occupa di Medio oriente da qualche decade (principalmente scrivendo sul Guardian) e che, fra le altre cose, cura al-bab, un sito di informazione sul mondo arabo che raccoglie principalmente i suoi approfondimenti.    

Proprio su al-bab, il 24 ottobre, scrive un pezzo sull'uscita di Courage. Per prima cosa osserva che Courage e Wikileaks pubblicano in contemporanea le osservazioni del più prestigioso fra i componenti  del "team di valutazione", José Bustani, ovvero un settantaquattrenne diplomatico brasiliano che fu direttore generale dell'OPCW dal 1997 al 2002, sebbene questi non abbia potuto partecipare all'incontro per motivi di salute. Bustani, si fa notare, fu cacciato dall'OPCW dopo che il Dipartimento di Stato americano lo accusò di cattiva gestione dei fondi. Lui accusò a sua volta l'Amministrazione americana di avergli fatto pressioni attorno alla vicenda delle armi chimiche in Iraq, che non furono mai trovate ma furono la causa ufficiale per la scatenare la catastrofica guerra americana contro l'Iraq. Bustani, in seguito, si appellò al tribunale e vinse la causa.

Whitaker passa poi all'esamina degli altri presenti in questo modo:

  • Richard Falk, professore emerito di diritto internazionale all'Università di Princeton. Falk ha affermato in precedenza che vi sono "dubbi ben evidenti" sul fatto che gli attacchi dell'11 settembre siano stati condotti da al-Qaeda "senza che i funzionari del governo ne fossero a conoscenza". Ha scritto inoltre la prefazione di un libro scritto da un conosciuto "truther" (cioè un teorico della cospirazione dell'11 settembre) che suggeriva che l'amministrazione Bush fosse complice degli attacchi.
  • Kristinn Hrafnsson, caporedattore di Wikileaks. Mercoledì scorso, in un post sul suo sito Web, WikiLeaks ha invitato lo staff OPCW a inviare documenti trapelati su Douma tramite connessione Internet sicura.
  • John Holmes, un ufficiale dell'esercito britannico in pensione. Holmes è attualmente membro del consiglio della British Syrian Society insieme al suocero del presidente Assad, Fawaz Akhras.
  • Helmut Lohrer, membro del consiglio di amministrazione della International Physicians for the Prevention of Nuclear War. Il precedente coinvolgimento di Lohrer con la Siria comprendeva un invito, nel 2015, a revocare le sanzioni.
  • Günter Meyer, direttore del Center for Research on the Arab World dell'Università di Mainz ... e sostenitore di lunga data di Assad.
  • Elizabeth Murray, membro di Veteran Intelligence Professionals for Sanity (VIPS) e Sam Adams Associates per Integrity in Intelligence. VIPS ha precedentemente contestato la responsabilità del regime per gli attacchi chimici in Siria. Nel 2017 l'organizzazione Sam Adams ha assegnato un premio per la "verità" al giornalista Seymour Hersh, autore di numerosi articoli, screditati, sulle armi chimiche in Siria.

Su Twitter, nelle settimane seguenti, diversi utenti, fra cui conosciuti analisti di Medio oriente come Michael Weiss, integrano le informazioni fornite da Whitaker. Il quadro che ne deriva è di un panel formato da persone decisamente inclini all'idea che dietro a qualsiasi denuncia di attacchi chimici in Siria vi sia  una cospirazione dell'occidente tesa a screditare il regime di Bashar al-Asad. Molti dei presenti sono invece ben accetti negli studi di RT, la televisione russa che da sempre serve gli interessi di Putin in Siria e regolarmente rilancia teorie della cospirazione attorno ai fatti siriani.

***

Whitaker ritorna sul tema un mese più tardi, il 21 novembre. Oltre a integrare le notizie attorno al "comitato di esperti", compie un'analisi dei contenuti espressi nei comunicati. Innanzi tutto osserva:

Gli eventi a Douma si sono dimostrati particolarmente controversi perché le potenze occidentali hanno immediatamente incolpato il regime di Asad e lanciato attacchi aerei punitivi senza attendere le indagini ufficiali. Da allora la Fact-Finding Mission (FFM) dell'OPCW ha pubblicato due rapporti su Douma: un rapporto intermedio a luglio 2018 e uno finale lo scorso marzo, ma tra coloro che credono nell'innocenza del regime i rapporti sono visti come un tentativo di giustificare retrospettivamente gli attacchi aerei.

Qui bisognerà osservare che prima Francia e Gran Bretagna e poi Stati Uniti, nei giorni seguenti l'attacco, fecero a gara per confermare l'accusa contro il regime (vedi qui ad esempio) e che nessuno dei paesi suddetti chiese conferme "scientifiche" essendo le accuse basate su informazioni fornite dalle rispettive intelligence. Vale la pena poi ricordare che l'attacco (come ho già sottolineato qui) ebbe scarsissimi esiti e rimase isolato:

In Siria - si riporta - la cosa fu letta come la dimostrazione che oltre a una limitatissima reazione, fatta per dimostrare quanto "questo nuovo presidente" fosse più "deciso" e "reattivo" rispetto al precedente, Trump non sarebbe andato.
C'era un precedente: un altro "presunto attacco chimico" (Khan Shaykhun, aprile 2017), provocò la reazione americana: 59 missili che colpirono la base militare da cui, secondo gli americani, erano stati lanciati gli ordigni.
Danni limitati, nessuna escalation, un fatto episodico, anche qui il tutto apparve "confezionato" come un spot per glorificare Donald.
By the way: un anno dopo Trump abbandonò a se stesso il Nordest della Siria, ostentando il suo "disimpegno" e provocando una reazione a catena decisamente catastrofica.

Conosciamo molto bene Donald Trump, ormai. E’ un buffone che non esiterebbe a screditare qualsiasi organismo internazionale qualora si mettesse di traverso. Quando all’ONU mezzo mondo gli rise in faccia per ciò che aveva millantato lui rispose: “non era questa l’accoglienza che mi aspettavo ma va bene lo stesso”. Lo può fare, è il Presidente degli Stati Uniti: questo è terribile, è un vero problema per la democrazia americana e per il mondo intero, ma il tema è un altro. 

Il tema qui è che qualcuno vorrebbe dimostrare che i rapporti sono stati truccati per fare propaganda attorno all’annosa questione delle armi chimiche in Siria.

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Il secondo pezzo di Whitaker ci racconta che all’incontro erano presenti due giornalisti, la freelance tedesca Karin Leukefeld e Jonathan Steele, ex giornalista del Guardian (la prima ci è nota anche per aver tracciato un parallelo fra la vicenda delle armi chimiche inesistenti in Iraq e l’attacco chimico al sarin della Ghouta nel 2103, tornando sulla teoria cospirativa del casus belli da trovare per poter attaccare). I due ci danno versioni parzialmente differenti rispetto a quanto avrebbe detto quello che noi conosciamo ancora con il nome di Alex. Questo fatto pone una domanda:

Un problema con le rivelazioni di Alex è che fino ad ora si è affidato principalmente ad altri per lanciarle. Non ha diffuso le sue prove direttamente al pubblico: tutto quello che sappiamo riguardo alle sue accuse arriva attraverso terze parti i cui racconti differiscono abbastanza. Ciò rende difficile valutare le sue affermazioni o in alcuni casi, capire precisamente quali siano queste affermazioni

Nessuno, in Italia, si domanda se questo approfondimento di un giornalista conosciuto e stimato abbia qualche fondamento o meno. Nessuno rilancia la cosa né, apparentemente, se ne interessa.

***

Veniamo ora al 23 novembre quando Wikileaks pubblica una e-mail interna all’OPCW che dimostrerebbe che il rapporto sui fatti di Douma fu stravolto per dimostrare che l’attacco era chimico e che era stato portato dall’alto, con un bombardamento (il ché implicitamente dimostra che la responsabilità è del regime di Asad o dei suoi alleati russi, gli unici ad avere un’aviazione da guerra che possa sorvolare l’area colpita).

L’e-mail è indirizzata al diplomatico britannico Robert Fairweather, attualmente impegnato in Sudan e al tempo Capo gabinetto dell’OPCW. L’uomo era stato citato da Steele in un articolo su Counterpunch: si parlava proprio di una mail di protesta che però, secondo Steele, non ebbe alcun esito. Il Capo gabinetto, secondo il giornalista, era stato sottoposto a diverse pressioni da parte degli americani.  

La lettera pone un certo numero di rilievi al primo rapporto dell’OPCW e secondo WikiLeaks, il Daily Mail, Repubblica e Stundin essa prova che il rapporto era effettivamente stato stravolto. 

***

A due giorni dalla pubblicazione della mail, Bellingcat - un think tank specializzato nell’uso delle fonti aperte contro il quale diversi soggetti, per lo più propagandisti, si scagliano regolarmente - prende in esamina l’e-mail partendo dall’intestazione e arrivando fino all’ultimo paragrafo.

Gli autori del pezzo rilevano una cosa molto semplice:

Insolitamente, nel caso dell’attacco di Douma, l’OPCW ha emanato due rapporti: il primo era un report provvisorio di 26 pagine, pubblicato il 6 luglio 2018. Il secondo era un report finale di 106 pagine, pubblicato il 1° marzo 2019. La lettera diffusa da Wikileaks, datata 22 giugno, solleva preoccupazioni su un “report redatto”. I punti sollevati nella lettera sono di fatto non presenti nel report provvisorio; tuttavia sono presenti, o comunque figurano in altri punti, nel report finale.  

Il pezzo di Bellingcat procede alla comparazione dei rilievi fatti a Fairweather e la redazione finale, “scoprendo” che TUTTI sono stati recepiti. In altre parole: esce il primo report, è provvisorio, è molto corto. Il capo di gabinetto fa osservare che mancano parti, che ci sono diverse imprecisioni, eccetera. I rilievi vengono recepiti nel rapporto finale, molto più lungo e dettagliato.

Gli autori chiudono così:

Basandoci su questa analisi è chiaro che WikiLeaks, il Daily Mail, La Repubblica e Stundin hanno fallito nella comprensione del contesto di questa lettera e del report finale su Douma. Se coloro che si stavano occupando della storia si fossero presi il tempo di leggere la lettera e i report essi avrebbero di certo scelto di pubblicizzarla in maniera molto diversa.

*** 

E quindi?

Quindi niente, cari miei.

Per quanto mi riguarda: nel frattempo, dopo uno sfogo in cui chiedevo alla giornalista di Repubblica di provare almeno a contestualizzare un po’ meglio le “rivelazioni” di Wikileaks, qualcuno mi ha accusato di essere “disonesto intellettualmente” per non aver diffusa la notizia, giudicata “molto importante”. 

Bene, ora sappiamo che l’ordinario flusso di lavoro di un’organizzazione internazionale è assurto a “notizia”, per alcuni è una notizia importante.

E che se una banda di negazionisti e cospirazionisti pubblica una messe di esagerazioni e scorrettezze disinformative attorno a un fatto grave che ha determinato la morte di decine di persone, riportando a suo piacimento le dichiarazioni a porte chiuse di un informatore, noi dovremmo all’istante pubblicizzarle per non fare la figura di chi “nasconde” non si sa cosa.

Tutto bene, un pezzo di fegato in meno, ma tutto bene

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Lorf
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